Il counselling psicologico con i genitori nel disagio del bambino

Un bambino che piange, che non dorme, che accusa mal di testa, mal di pancia, male alle gambe, che si rifiuta di andare a scuola o di fare altre attività, che sembra sempre scontento o poco coinvolto, che manifesta comportamenti ansiosi o aggressivi, improvvise difficoltà di apprendimento o disturbi delle condotte alimentari. Sono queste manifestazioni che disturbano ed allarmano molto i genitori in un’alternanza di sentimenti di preoccupazione ed impotenza, oltre che a volte di fastidio o di imbarazzo.

Cercano allora di trovare una soluzione, rivolgendosi nella stragrande maggioranza dei casi in primo luogo al pediatra. Questi, accanto alla doverosa ricerca di una chiara, definita e circoscritta origine organica del problema dovrebbe dare spazio al racconto (del sintomo o disturbo, ma anche della situazione familiare, della qualità delle relazioni, del particolare momento che stanno attraversando ecc. ecc.) sia dei genitori sia del bambino stesso se è sufficientemente grande. Sarebbe necessario inoltre offrire uno spazio di counselling psicologico primariamente ai genitori (possibilmente e preferibilmente entrambi) e, in seconda battuta anche al bambino stesso, con l’utilizzazione di gioco o disegno e, nel caso di bambini più grandi, di colloqui o test specifici.

Il counselling con i genitori ha la finalità di cercare con loro un’ipotesi di senso del disturbo presentato dal bambino, mettendolo in relazione con la loro storia, la loro relazione, le loro aspettative ed i loro timori. Il doveroso presupposto di partenza è che il disturbo o sintomo non è qualcosa da cancellare e da eliminare ma è invece un importante messaggio (di aiuto, di attenzione, di affermazione, di difficoltà, di rassicurazione) di cui il bambino non è consapevole e che esprime in maniera diretta attraverso il corpo e le emozioni. Già questo rappresenta un importante e significativo momento perché diventa uno spazio di attenzione a lui dedicato, nel quale i genitori sono invitati ad occuparsi del figlio più che a preoccuparsi per lui, senza delegare al tecnico (pediatra, psicologo, neuropsichiatra) un intervento di “messa a posto”. Inoltre questo permette al tecnico di accompagnare i genitori a gettare uno sguardo sul loro bambino, a capire come il suo sviluppo e le sue manifestazioni siano uno specchio della mappa relazionale della famiglia e, per i bambini più grandi, dell’ambiente sociale. Questo spazio inoltre rappresenta per i genitori l’opportunità di capire come il bambino percepisce (e vive) i rapporti intrafamiliari, lo sviluppo psico-fisico e quali sono le sue capacità di elaborare il disagio.

Un lutto, difficoltà economiche, malattie, disaccordi familiari sono tutti elementi che improntano il clima emotivo di una famiglia, in cui un bambino è totalmente immerso e che come una spugna assorbe, elaborandolo alla sua maniera. Quante volte i genitori dicono “il bambino non ne sa niente…non parliamo mai davanti a lui!”, come se il clima emotivo dipendesse solo dalle parole e dai discorsi fatti e non fosse qualcosa di impalpabile che come l’odore, l’umidità non sono controllabili ma ci sono. I bambini dipendono dai genitori, che rappresentano la loro sicurezza, il loro punto di riferimento e quando queste sicurezze vacillano, le reazioni possono essere le più varie. Di paura, di opposizione, di rinuncia, di abbassamento delle difese immunitarie ecc.

Solo se si riesce a collocare le manifestazioni del bambino in questo quadro più articolato e complesso possiamo superare la ristretta ottica della malattia per accogliere una visione più ampia sistemica ed evolutiva.

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