Possiamo capire se ci stiamo ammalando leggendo il dna?

Analizzare il dna alla ricerca di tracce genetiche associate al rischio di alcune malattie. Per alcuni è un buon metodo per prevenire l’insorgenza di patologie, ma la comunità scientifica guarda la pratica con scetticismo.

Nel Regno Unito

Matthew Hancock è il segretario di Stato alla Salute del Regno Unito. Nei giorni scorsi ha annunciato, durante un discorso alla Royal Society, di aver un alto rischio di sviluppare un tumore alla prostata. Entro i 70 anni la probabilità di contrarre questo tipo di cancro sarebbe pari al 15%.Almeno secondo i test sul dna a cui si è sottoposto per misurare il rischio collegato a 16 diverse condizioni.

Diminuire i rischi

Questi tipi di test sul dna hanno però dei limiti. Prima di tutto hanno un’accuratezza limitata, producono risultati che non mutano l’atteggiamento clinico e terapeutico e

Il test

Il test a cui si è sottoposto Hancock è stato eseguito dalla Genomics Plc. Si tratta di un cosiddetto test del rischio poligenico, in cui si analizzano moltissime varianti, presenti nel genoma per elaborare una stima del rischio di contrarre una determinata malattia, con l’idea che ognuna possa contribuire in minima parte. Di per sé questo tipo di analisi sono molto utili su studi di grandi coorti di pazienti, perché permettono di

I risultati sul singolo caso

A livello del singolo, però, questi test hanno un valore più limitato, Non solo non sono esaustivi, ma In conclusione, la rilevanza clinica a oggi di questi test resta dubbia.

Sapere dall’analisi del DNA se e di cosa possiamo ammalarci?

Certo prevedere e controllare il futuro è da sempre uno dei sogni dell’essere umano. La scoperta e gli studi sul DNA sembrano rappresentare una sorta di realizzazione di questo sogno: poter sapere cioè in anticipo di cosa ci ammaleremo e avere conseguentemente la possibilità di prendere i provvedimenti necessari per scongiurare questa evenienza.

Ma è davvero così?

Gli scienziati sono molto cauti al riguardo.

Ad esempio il test del rischio poligenico con cui si analizzano moltissime varianti del genoma per fare poi una stima del rischio di contrarre una specifica malattia, può avere valore ma solo su grandi numeri di pazienti.

Questo infatti permetterebbe di identificare varianti collegate a una determinata condizione e quindi possibili vie metaboliche coinvolte, al fine di approntare nuovi farmaci.

Sul singolo caso il valore del test è limitato, la rilevanza clinica è dubbia.

Questi test infatti riguardano malattie multifattoriali, in cui rivestono un ruolo importante sia l’ambiente che lo stile di vita.

Come sottolinea su Wired Leonardo Salvati, Direttore della Scuola di Specializzazione in Genetica Medica all’Università di Padova: “Questi test analizzano solo una parte della componente genetica associata a una determinata condizione, ovvero solo un tot di polimorfismi”, senza prendere in considerazione le singole varianti genetiche e le loro interazioni.

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