Tubercolosi

La tubercolosi è una malattia infettiva ad andamento cronico che interessa principalmente, ma non soltanto, l’apparato respiratorio.

Temutissima fino agli anni ’40 del Novecento, nei Paesi occidentali, la tubercolosi è stata quasi dimenticata nei decenni successivi, grazie al miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie, abitative e nutrizionali della popolazione verificatosi a partire dal secondo Dopoguerra e all’introduzione della penicillina e di farmaci antitubercolari come la streptomicina, l’isoniazide, la rifampicina, l’etambutolo.

La situazione resta, invece, preoccupante nei Paesi in via di sviluppo, dove le condizioni di vita sono tutt’oggi precarie, le cure mediche non sempre accessibili e l’infezione da HIV (principale fattore di rischio per lo sviluppo della tubercolosi in forma attiva severa) molto diffusa.
In queste zone, la tubercolosi non ha mai smesso di rappresentare un serio problema di salute pubblica e una delle principali cause di morte. In alcuni Paesi africani, per esempio, si registrano ancora 400-500 nuovi casi all’anno ogni 100.000 abitanti.

In Occidente, negli ultimi 2-3 decenni, si è osservato un relativo aumento dei casi di tubercolosi, alcuni dei quali particolarmente preoccupanti in quanto determinati da ceppi di batterici resistenti ai farmaci normalmente utilizzati per combattere la malattia. Tuttavia, nei Paesi con buoni standard igienici e nutrizionali e ambienti di vita salubri, la tubercolosi resta una malattia rara.

Cause

La tubercolosi è causata dal batterio Mycobacterium tuberculosis (micobatterio), che entra nell’organismo per inalazione di particelle di vapore infette, provenienti da una persona con tubercolosi attiva e presenza di bacilli vivi nell’escreato.
Le goccioline attraversano la faringe, la trachea e i bronchi e si insinuano negli alveoli polmonari. Qui il micobatterio, protetto da una parete cellulare “impermeabile”, incontra particolari cellule del sistema immunitario, chiamate macrofagi, e si annida al loro interno (citoplasma).

Se il sistema immunitario della persona contagiata è sano e reattivo, il macrofago riesce ad uccidere alcuni dei batteri che l’hanno attaccato e a utilizzarne i frammenti per segnalare ad altre cellule del sistema immunitario l’avvenuta occupazione.

Dopo 2-8 settimane viene innescata la reazione infiammatoria e vengono reclutati i “linfociti killer” che contrastano il micobatterio. I batteri non vengono completamente eliminati dall’organismo, ma impacchettati in noduli, o tubercoli, e isolati dal tessuto polmonare sano.

Finché il sistema immunitario è efficiente, i micobatteri restano intrappolati nel tubercolo e non possono fare danni. Quando, invece, le difese dell’organismo vengono compromesse da patologie specifiche (come l’infezione da HIV), dall’assunzione di farmaci immunosoppressori o da condizioni di vita particolarmente stressanti, il Mycobacterium può “risvegliarsi” e provocare la malattia.
Quando questo accade, la reazione infiammatoria innescata dall’organismo per uccidere i micobatteri porta alla progressiva degenerazione del tessuto polmonare, con formazione di granulomi che, con il tempo, si espandono e scavano vere e proprie caverne all’interno del polmone.

Nei casi più gravi la degenerazione può arrivare fino ai bronchi. Raramente, i micobatteri riescono ad abbandonare i polmoni e, attraverso il sangue, vanno a colonizzare anche altri organi come il fegato, le ossa, i reni, il tessuto nervoso e il sistema riproduttivo.

Sintomi

Una persona con sistema immunitario ben funzionante (HIV negativa), in genere, sviluppa una tubercolosi di tipo polmonare ad andamento cronico, caratterizzata da sintomi lievi e persistenti. Il paziente arriva all’osservazione del medico dopo uno o due mesi di febbricola associata a tosse con catarro, perdita di peso involontaria, dolore al torace.

Nelle forme particolarmente aggressive possono comparire anche tracce di sangue nell’escreato. Soltanto raramente, invece, si manifestano forme acute o subacute e forme extra-polmonari, come la meningite, la disseminazione ematogena o il morbo di Pott, una malattia che colpisce le vertebre.

Nel paziente HIV positivo, l’evoluzione della malattia è più rapida, con una variabilità legata allo stato delle difese immunitarie individuali. In questi casi la tubercolosi si presenta quasi sempre in forma acuta con febbre elevata, danni polmonari estesi e interessamento di altri organi come il fegato, la milza e, soprattutto, il sistema nervoso centrale.

Diagnosi

La diagnosi della tubercolosi parte dal riscontro dei sintomi clinici caratteristici e della presenza di linfonodi ingrossati durante una comune visita medica, con auscultazione del torace, associata all’analisi della storia clinica e delle abitudini e degli standard di vita.

A seguire, viene eseguito il test cutaneo per la reattività alla tubercolina, che prevede l’inserimento sottocute di piccole quantità dell’antigene del micobatterio con un dispositivo formato da aghi corti e sottili. La positività al test della tubercolina indica se la persona è entrata in contatto con il micobatterio in qualche momento della vita, non che è o che è stata affetta da tubercolosi.

Se una persona è HIV positiva e positiva al test della tubercolina, il suo rischio di sviluppare la tubercolosi è circa 50 volte superiore rispetto ad una persona immunocompetente non sieropositiva. Tuttavia, in entrambi i casi, il test può dare esiti falsamente positivi o negativi e deve essere seguito da ulteriori indagini.

In particolare, per verificare l’effettiva presenza della malattia è necessario eseguire un test ematico specifico dopo prelievo di sangue periferico, la radiografia del torace (per evidenziare eventuali tubercoli polmonari) e il test dello sputo (per confermare la presenza del micobatterio e identificarne il ceppo, allo scopo di pianificare la terapia più opportuna).

Tra gli stili di vita

Che a esserne interessata sia una persona con sistema immunitario sano o un soggetto immunocompromesso, la tubercolosi è una patologia curabile, soprattutto quando i micobatteri coinvolti non appartengono a ceppi resistenti.

Quel che conta è seguire regolarmente il trattamento consigliato dal medico per tutto il periodo di tempo indicato (anche se si inizia a stare meglio) e adottare qualche precauzione per evitare di trasmettere i micobatteri ad altre persone nelle prime settimane di malattia (in particolare, evitando contatti ravvicinati, indossando mascherine e aerando frequentemente gli ambienti in cui soggiorna il malato).

I farmaci impiegati per combattere il micobatterio sono essenzialmente antibiotici: se si è affetti da una forma latente/lieve, può essere sufficiente un solo antibiotico, mentre per la tubercolosi in forma acuta è necessario assumere più antibiotici in combinazione, soprattutto se il micobatterio responsabile appartiene a un ceppo farmacoresistente.

In entrambi i casi, la durata del trattamento sarà di diversi mesi: da un minimo di 6-9 mesi per le forme più lievi fino a 20-30 mesi per le forme farmacoresistenti, in persone con sistema immunitario compromesso.

I farmaci antitubercolari più usati sono pirazinamide, isoniazide, rifampicina, etambutolo, cui possono essere aggiunti fluorochinoloni, come amikacina, kanamicina o capreomicina. Altri farmaci, come bedaquilina, possono essere necessari per alcune forme farmacoresistenti particolarmente ostiche da eliminare.

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