Antibioticoresistenza peggiorata dall’igiene ambientale

La resistenza agli antibiotici, ossia la crescente capacità dei batteri patogeni di sopravvivere in presenza dei farmaci che dovrebbero ucciderli, è una delle più grandi sfide che la medicina si trova oggi ad affrontare e dalla cui vittoria dipendono le possibilità di sopravvivenza del genere umano nei prossimi decenni.

Per chi è nato nell’era degli antibiotici è difficile rendersi conto di questa emergenza, ma ritrovarsi di punto in bianco senza medicinali in grado di combattere malattie infettive severe come la tubercolosi, la polmonite o le gastroenteriti batteriche significa essere esposti a un elevatissimo rischio di epidemie in grado di mietere milioni di vittime ed estremamente difficili da contenere.

Per cercare di limitare la diffusione delle resistenze batteriche, da oltre due decenni, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e le altre istituzioni sanitarie a livello internazionale raccomandano di usare gli antibiotici in modo cauto, parsimonioso e corretto: ossia, soltanto quando indispensabili, ai dosaggi e per il periodo di tempo prescritti dal medico e mai sulla base del “fai-da-te”.

Tuttavia, l’antibioticoresistenza può essere promossa anche in contesti non sanitari. Tra questi, il più noto è rappresentato dagli allevamenti animali, dove gli antibiotici vengono spesso usati per proteggere il bestiame dalle infezioni. Nuove evidenze indicano ora che anche l’igiene di ambienti chiusi come case e uffici può facilitare la selezione di “super-batteri”.

In particolare, una ricerca da poco pubblicata sulla rivista scientifica Nature Communications segnala che nei locali chiusi di edifici di qualunque tipo la biodiversità dei batteri è minore di quella tipica dell’ambiente esterno (urbano o naturale) e che a essere maggiormente rappresentati sono i ceppi meno sensibili agli antibiotici di uso comune.

Secondo i ricercatori, questo riscontro può essere la conseguenza, oltre che del tipo di frequentazione e delle attività umane svolte negli edifici e del più o meno marcato isolamento dall’ambiente esterno, anche dei prodotti e dei metodi utilizzati per la pulizia delle superfici. In particolare, si ipotizza che l’uso di detergenti antibatterici ad ampio spettro possa giocare un ruolo sfavorevole, premiando i batteri più “forti” che riuscirebbero a moltiplicarsi in misura prevalente.

Posto che la pulizia domestica, dei locali e degli edifici frequentati da molte persone è irrinunciabile per prevenire malattie e problemi igienici di vario tipo, per evitare di promuovere le resistenze batteriche negli ambienti chiusi i ricercatori suggeriscono di alternare le sostanze detergenti usate (in modo che i batteri non possano abituarsi) e di riservare i prodotti dichiaratamente antibatterici a luoghi circoscritti, meritevoli di una maggiore disinfezione (bagni, ripiano della cucina, vano immondizia ecc.).

Altri accorgimenti utili consistono nell’impiegare il vapore per igienizzare le superfici in grado di tollerare temperature elevate, nel mettere piante nelle stanze (evitando quelle più a rischio di allergie) e nell’aumentare gli scambi tra ambienti interni ed esterno (per esempio, aprendo spesso le finestre).

Fonte

Mahnert A et al. Man-made microbial resistances in built environments.

Nature Communications 2019;10:968. doi:10.1038/s41467-019-08864-0 (https://www.nature.com/articles/s41467-019-08864-0)

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