Smettere di fumare in gravidanza: perché si dovrebbe e perché è difficile

Fumare fa male in ogni fase della vita, ma in gravidanza fa male il doppio, perché a subire le conseguenze deleterie del fumo, oltre alla donna, è anche il feto in via di sviluppo. Per tutelarlo, è necessario riuscire a smettere per tempo.

Anche grazie a buone leggi e a numerose iniziative di prevenzione, oggi, in Italia si tende a fumare meno e in modo più consapevole rispetto a 2-3 decenni fa. Tuttavia, rispetto al passato, oggi fumano di più le donne, che mediamente sviluppano una dipendenza maggiore e fanno più fatica a smettere. Al punto che, a volte, non riescono ad interrompere l’abitudine al fumo neppure in gravidanza, rischiando di comprometterne il decorso e di influenzare negativamente lo sviluppo del bambino.

In una recente review pubblicata sulla rivista scientifica Therapeutic Advances in Drug Safety, alcuni esperti americani dell’argomento hanno riassunto le ragioni per cui tutte le donne che desiderano intraprendere una gravidanza dovrebbero cercare di smettere di fumare prima del concepimento o, in caso di gravidanze non programmate, subito dopo (idealmente, entro la fine del 1° trimestre).

In particolare, è dimostrato che il fumo in gravidanza aumenta il rischio di parto pretermine (vale a dire prima della 37a settimana, con le relative complicanze), basso peso alla nascita, rottura prematura delle membrane, placenta previa (ossia posta davanti alla testa del bambino al momento del parto, con conseguenti criticità durante l’espulsione) e perdita del bambino. Inoltre, il fumo in gravidanza è un riconosciuto fatto di rischio per anomalie congenite del labbro e del palato (labiopalatoschisi), difetti cardiaci, gastrointestinali e neurologici del neonato.

Un’ampia serie di studi indica inoltre che, anche quando in gravidanza va tutto bene, l’esposizione al fumo passivo nei primi mesi/anni di vita aumenta il rischio del bambino di andare incontro a malattie respiratorie acute (infezioni delle vie aeree da virus e batteri) e croniche (asma, allergie respiratorie ecc.), nonché ad otiti, bassa statura e alterazioni metaboliche e comportamentali (iperattività).

La donna che riesce a smettere di fumare per tempo e a non ricominciare dopo la nascita del bambino permette a se stessa e a tutta la famiglia di vivere più sana. Dal momento che, spesso, la buona volontà non basta, per riuscirci è consigliabile rivolgersi al medico e farsi indirizzare nell’uso di uno o più dei molti supporti, farmacologici e non oggi disponibili (terapia sostitutiva con nicotina in gomme, compresse da masticare, spray nasale, cerotto ecc.; bupropione; vareniclina; counselling e supporto psicologico; agopuntura auricolare ecc.). Idealmente, coinvolgendo anche il partner, se fumatore, nell’impresa. Certo, non sarà semplice, ma ne vale sicuramente la pena.

Fonte: Scherman A et al. Smoking cessation in pregnancy: a continuing challenge in the United States. Ther Adv Drug Saf. 2018;9(8):457-474. doi:10.1177/2042098618775366

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