L’apparato cardiovascolare durante gli avvelenamenti

L’avvelenamento può causare anche un collasso cardiovascolare, infatti i farmaci antidepressivi possono scatenare aritmie cardiache, alterando di conseguenza la gittata cardiaca.

È necessario, quindi, misurare la pressione arteriosa e la frequenza cardiaca ad intervalli regolari e frequentemente, in modo da effettuare una registrazione continua con ECG. Lo shock, nel paziente avvelenato, è quasi sempre espressione di una sproporzione tra la capacità del letto vascolare ed il volume di sangue contenuto in esso. Il ritorno venoso, per questo motivo, diminuisce avendo una riduzione della gittata cardiaca.

La cute fredda, pallida e umida è il vero campanello d’allarme. Quando il valore sistolico della pressione arteriosa scende al di sotto dei 90 mm Hg bisogna intervenire. Il trattamento prevede innanzitutto che si alzi il letto a piedi, per aumentare il ritorno venoso al cuore. Se questo provvedimento non è sufficiente, è assolutamente necessario espandere il volume circolatorio per via endovenosa. Se neanche così il paziente tende a non riprendersi, allora è giustificato l’utilizzo dei farmaci intropi. Le aritmie cardiache possono scomparire una volta corretta l’anossia e l’acidosi. Bisogna ricorrere ad una terapia antiaritmica solo quando le alterazioni del ritmo sono tali da compromettere in maniera seria la gittata cardiaca.

Fonte: Vademecum di terapia degli avvelenamenti di Roy Goulding

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