Gravidanza da non medicalizzare: le raccomandazioni dei ginecologi-ostetrici

In un’epoca in cui l’infertilità di coppia è sempre più diffusa e dove le gravidanze, spesso tardive, vengono accolte quasi come un fatto eccezionale, anziché come una funzione fisiologica che la maggioranza delle donne è in grado di affrontare senza problemi, è abbastanza frequente che tutto ciò che riguarda il concepimento, la gestazione e il parto riceva un’attenzione un po’ eccessiva, da parte sia dei futuri genitori sia dei medici che devono accompagnarli in questo percorso.

Tuttavia, se non sono presenti ragioni cliniche tali da giustificare cautele particolari per garantire il benessere della donna e del bambino, non si dovrebbe eccedere con controlli e interventi medici, se non si vuole rischiare di trasformare un evento naturale come la gravidanza in una “malattia”, togliendo parte del piacere e della serenità che dovrebbero accompagnare l’esperienza della procreazione e della nascita.

Consapevole di questa tendenza alla medicalizzazione e in linea con lo spirito dell’iniziativa “Choosing Wisely Italy – Fare di più non significa fare meglio”, l’Associazione Ostetrici-Ginecologi Ospedalieri Italiani (AOGOI) ha elaborato “5 Raccomandazioni” per supportare un’assistenza ostetrica appropriata, sicura e rispettosa delle donne, soprattutto per quel che concerne il travaglio, il taglio cesareo e il clampaggio del cordone ombelicale. Le raccomandazioni sono state presentate in occasione del Congresso Nazionale di Ginecologia e Ostetricia, tenutosi a Napoli dal 27-30 Ottobre, e prevedono quanto segue.

1) Non clampare (ossia, tagliare e legare) precocemente il cordone ombelicale, ma aspettare almeno un minuto dopo l’espulsione del neonato per favorire il passaggio di sangue dalla placenta, rinforzando le scorte di ferro del neonato e riducendo il rischio di colite necrotizzante, malattia gastrointestinale che può rivelarsi fatale. Il taglio posticipato del cordone ombelicale non aumenta il rischio di emorragia post-partum della donna e riduce la mortalità nei nati molto pretermine (prima della 32a settimana).

2) Non eseguire l’episiotomia di routine per favorire il passaggio del bambino. Secondo i ginecologi dell’AOGOI, l’incisione del perineo nella fase finale del travaglio è una procedura sovrautilizzata e senza vantaggi per la donna, poiché richiede l’applicazione di punti di sutura dolorosi, si associa al rischio di infezione e ostacola la ripresa dei rapporti sessuali dopo il parto. Per queste ragioni, l’episiotomia dovrebbe essere praticata soltanto in presenza di una reale necessità clinica, come per esempio accelerare l’espulsione in caso di sofferenza fetale.

3) Non indurre il travaglio prima della 39a settimana. L’induzione del travaglio comporta la medicalizzazione di un evento del tutto fisiologico e può causare eventi avversi, compresa un’aumentata necessità di ricorrere al parto con taglio cesareo. Per queste ragioni, anche l’induzione del travaglio dovrebbe essere effettuata esclusivamente quando sono presenti condizioni che pregiudicano il proseguimento della gravidanza e/o possono comportare un pericolo per il benessere e la sicurezza del feto o della madre.

4) Non programmare il taglio cesareo di routine in tutte le donne con pregresso taglio cesareo. In contrasto con la tendenza consolidata, i ginecologi dell’AOGOI smentiscono la regola “una volta cesareo sempre cesareo”, in quanto priva di basi scientifiche. Al contrario, i dati disponibili indicano che le donne che hanno partorito in precedenza con taglio cesareo e ammesse al travaglio di parto in occasione di una successiva gravidanza hanno un rischio di mortalità minore rispetto alle donne sottoposte a un secondo taglio cesareo programmato (3 vs 13 su 100mila). Pertanto, la scelta della modalità di parto più opportuna e sicura va valutata a ogni nuova gravidanza.

5) Non obbligare al digiuno né proibire l’assunzione di liquidi alle donne in travaglio. Nelle gravidanze fisiologiche (ossia non associate a patologie o a criticità specifiche), l’assunzione di liquidi non è controindicata e non aumenta il rischio di complicanze in caso di ricorso all’anestesia generale durante il parto. Quindi, non ci sono validi motivi per impedire alla donna di bere.

«Come ricorda l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)», ha sottolineato Elsa Viora, Presidente AOGOI, «la gestazione e il parto sono esperienze che vanno vissute con serenità e, in presenza di una gravidanza fisiologica, vale a dire senza fattori di rischio, vanno medicalizzate il meno possibile. Il travaglio e il parto sono, senza dubbio, circostanze delicate dal punto di vista emotivo, in cui, più di altre, la donna ha bisogno di sentirsi protetta, rassicurata e rispettata. Questo è l’impegno profuso quotidianamente dagli operatori sanitari, medici ginecologi ed ostetriche coinvolti nel percorso nascita e parto, che si fonda sul dialogo, la fiducia e la relazione empatica costruita nel tempo con la donna, necessari per giungere a scelte informate e condivise».

Fonte: Associazione Ostetrici-Ginecologi Ospedalieri Italiani (AOGOI) (www.aogoi.it/notiziario/il-congresso-20192-stop-ai-cesarei-di-routine-nelle-donne-con-pregresso-cesareo-ecco-la-carta-dell-appropriatezza-per-il-parto/)

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