Tumore alla prostata

Il tumore della prostata (in particolare, l’adenocarcinoma prostatico) è uno dei tumori più frequenti nel sesso maschile e si sviluppa quando alcune cellule della ghiandola iniziano a moltiplicarsi in modo incontrollato. Nei Paesi industrializzati, è al secondo posto per incidenza dopo quello del polmone e al primo posto tra le cause di morte per tumore tra gli uomini. In Europa, la neoplasia è più diffusa nell’area del Mediterraneo rispetto ai Paesi nordici.

La prostata è una ghiandola a forma di castagna, del diametro di alcuni centimetri, presente soltanto negli uomini; è posizionata davanti al retto, al di sotto della vescica e circonda il primo tratto dell’uretra, il canale che consente all’urina di uscire all’esterno.

La sua funzione è produrre sostanze che arricchiscono e completano la composizione dello sperma, necessarie per la maturazione degli spermatozoi.

Oltre che dall’adenocarcinoma, la prostata può essere raramente interessata da altre forme tumorali come sarcomi, carcinomi a piccole cellule e carcinomi a cellule di transizione. Un ingrossamento della prostata fastidioso molto diffuso dopo i 60-65 anni, ma molto meno preoccupante, è invece l’ipertrofia prostatica benigna (IPB).

Cause

Come per tutti i tumori, l’origine dell’adenocarcinoma prostatico risiede in una serie di mutazioni genetiche che permettono a un gruppo di cellule di acquisire nuove caratteristiche e iniziare a moltiplicarsi in modo indiscriminato, sfuggendo ai controlli di norma previsti per consentire che il rinnovamento e la riparazione dei tessuti avvengano secondo tempistiche e criteri ben definiti.

Nel caso del tumore della prostata non si conoscono i meccanismi all’origine di queste mutazioni e della conseguente trasformazione in senso neoplastico delle cellule. Indubbiamente, gli ormoni maschili (testosterone) possono guidare la crescita del tumore, dal momento che inibendo la loro produzione con trattamenti anti-androgeni il tumore smette di crescere, ma non si conoscono le ragioni di questo fenomeno né perché alcuni pazienti rispondano meglio di altri alle terapie.

Altrettanto certa è l’esistenza di una predisposizione genetica di tipo ereditario per lo sviluppo dell’adenocarcinoma, che tende a ripresentarsi in più uomini della stessa famiglia e ad avere un’incidenza differente nei diversi gruppi etnici.
In particolare, è stata dimostrata un’associazione tra aumentato rischio di adenoma prostatico aggressivo e mutazioni nei geni BRCA1 e BRCA2, gli stessi che nella donna aumentano il rischio di tumore del seno e dell’ovaio.

I dati epidemiologici indicano che la frequenza del tumore prostatico è massima tra gli afroamericani, minore negli uomini di origine caucasica e minima negli asiatici.
Non è chiaro, tuttavia, se ciò dipenda soltanto da determinanti genetici o anche da fattori ambientali come l’alimentazione o lo stile di vita in generale.

L’obesità e la sedentarietà sono fattori di rischio riconosciuti, così come l’effetto promuovente di alcuni alimenti, come per esempio quelli ricchi di calcio e grassi saturi, mentre pomodori e vitamina D sembrano avere un effetto protettivo.

Sintomi

Il tumore della prostata, nella stragrande maggioranza dei casi, non dà alcun sintomo e, soprattutto nelle fasi iniziali, la maggior parte delle diagnosi viene emessa in modo del tutto accidentale, esaminando pazienti che si erano rivolti all’urologo per i fastidi indotti da un’altra affezione dell’apparato genito-urinario.

Disturbi e sintomi compaiono in fase avanzata, quando il tumore è ormai voluminoso, e comprendono difficoltà a urinare e a emettere un getto adeguato, fastidio o dolore nell’area pelvica, disfunzione erettile, tracce di sangue nelle urine.

Diagnosi

Il primo esame utile per valutare direttamente lo stato della prostata e la presenza di eventuali alterazioni è l’esplorazione transrettale digitale eseguita dall’urologo.
Questo test consente, però, di rilevare solamente i tumori che colpiscono la parte posteriore della prostata e che abbiano già dimensioni palpabili, ovvero non in fase iniziale.

Un indice indiretto della presenza del tumore in un qualunque punto della ghiandola è il livello ematico del PSA, l’antigene prostatico specifico.
Questa proteina, necessaria per consentire agli spermatozoi di fecondare la cellula uovo, viene normalmente prodotta dalla prostata ed è presente anche nel sangue di uomini sani, ma tende ad aumentare quando un tumore danneggia la ghiandola.

Un valore di PSA sopra la soglia di riferimento non basta, da solo, per affermare che è presente una neoplasia prostatica, ma quando è superiore alla norma è importante procedere a un approfondimento specialistico.
Inoltre, per capire se un valore di PSA è sospetto lo si deve confrontare con quelli ottenuti in valutazioni effettuate negli anni precedenti (velocità de crescita del PSA), tenuto conto dell’età del paziente, delle dimensioni della prostata (valutate con l’ecografia transrettale) e della percentuale di PSA libero (frazione “buona” del PSA).

In alcuni casi, per arrivare a una diagnosi più precisa è necessario effettuare anche biopsie della prostata, che vengono eseguite ambulatorialmente per via transrettale in anestesia locale e consistono in una serie di prelievi di piccolissime porzioni di tessuto prostatico, successivamente sottoposte ad analisi istologica.

Se la presenza del tumore è confermata, si deve procedere alla sua stadiazione clinica, ossia alla caratterizzazione del suo stadio di sviluppo, indispensabile per programmare i successivi interventi terapeutici.

Tra gli stili di vita

Il trattamento del tumore della prostata viene definito nel singolo paziente su base personalizzata, tenendo conto, oltre che della localizzazione, delle dimensioni e dell’aggressività del tumore (velocità di crescita e tendenza a dare metastasi), anche dell’età, delle caratteristiche fisiche, dello stato di salute generale e delle attese del paziente.

Le strategie terapeutiche attualmente più usate contro l’adenocarcinoma prostatico comprendono:

  • diversi approcci chirurgici finalizzati all’asportazione completa della prostata (prostatectomia radicale, con modalità convenzionale o in laparoscopia, anche con robot operatorio);
  • varie modalità di radioterapia, somministrata dall’esterno o con inserimento di “semi radioattivi” nella ghiandola (brachiterapia);
  • crioterapia, basata sull’inserimento nella prostata, sotto guida ecografica, di aghi che congelano il tumore;
  • la terapia con farmaci antiandrogeni, in grado di ridurre lo stimolo del testosterone sulla crescita delle cellule prostatiche, oppure medicinali che inibiscono la produzione di testosterone da parte dei testicoli;
  • diversi schemi chemioterapici per le forme avanzate metastatiche, resistenti ad altri approcci.

A oggi, la chirurgia e le altre terapie disponibili possono effettivamente eliminare o neutralizzare il tumore soltanto se è confinato alla prostata e non ha ancora dato luogo a metastasi a distanza.
Negli altri casi gli interventi possono soltanto migliorare la qualità di vita, ma non curare la malattia. Sono allo studio diversi farmaci innovativi e terapie biologiche per migliorare la gestione delle forme avanzate/metastatiche.

In alcuni casi, si tende a non intervenire chirurgicamente su pazienti molto anziani perché spesso l’adenocarcinoma evolve molto lentamente e il rischio di esserne danneggiati nei primi dieci anni è molto basso.
Questa “astensione” dal trattamento (detta “watchful waiting”) è considerata a tutti gli effetti una strategia terapeutica che, a volte, si applica anche a uomini più giovani con tumori poco aggressivi.

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