Chi presenta caratteristiche tali da rientrare nella definizione di sindrome metabolica non deve considerarsi malato, ma è esposto a un’elevata probabilità di sviluppare patologie cardiometaboliche croniche (diabete di tipo 2, aterosclerosi, arteriopatia, coronaropatie, disturbi renali ecc.) e di andare incontro a eventi cardiovascolari acuti: probabilità che potrà essere ridotta soltanto attraverso una seria revisione dello stile di vita (in particolare, dieta sana e bilanciata, attività fisica regolare e abolizione del fumo) e, se necessario, ricorrendo a terapie farmacologiche in grado di correggere i parametri metabolici alterati.
A essere interessati da sindrome metabolica sono soprattutto le persone con un’età superiore a 40-45 anni. Tuttavia, negli ultimi anni, a causa della sempre maggiore diffusione di stili di vita inadeguati e del sovrappeso, anche in età pediatrica, si è assistito a un aumento dei casi di sindrome metabolica nell’adolescenza e tra i giovani adulti.
Cause
Indubbiamente l’avanzare dell’età e la predisposizione genetica giocano un ruolo chiave nella tendenza a sviluppare ipertensione, dislipidemie e alterazioni della glicemia che possono fare da anticamera al diabete di tipo 2, ma il principale fattore all’origine delle alterazioni che contribuiscono a definire la sindrome metabolica è essenzialmente lo stile di vita inadeguato.
Una dieta ricca di carboidrati e grassi saturi e caratterizzata da un apporto calorico eccessivo rispetto al dispendio energetico medio, soprattutto se associata a sedentarietà o, comunque, a un’attività fisica saltuaria insufficiente, è la prima causa dell’aumento di peso, dell’incremento della glicemia, dei livelli dei trigliceridi (e di colesterolo “cattivo” Ldl) nel sangue e dello sviluppo di ipertensione.
Anche ritmi di vita concitati e stressanti, che non permettono di rilassarsi e che spesso si associano a disturbi del sonno, contribuiscono ad alterare il bilancio metabolico e a causare innalzamenti della pressione arteriosa.
L’attività fisica insufficiente e l’apporto calorico eccessivo, sono i principali determinanti dell’insulinoresistenza, corrispondente a una ridotta capacità dei muscoli e degli altri tessuti periferici di assorbire il glucosio trasportato dall’insulina per utilizzarlo a scopo energetico e, più in generale, a un’inefficiente utilizzo dell’insulina da parte dell’organismo.
Lo sviluppo di insulinoresistenza è considerato un evento centrale della sindrome metabolica e dell’aumento del rischio cardiovascolare.
Sintomi
La sindrome metabolica non si associa a particolari sintomi e, proprio per questo, l’insieme delle alterazioni che la determinano possono agire indisturbate per molti anni e compromettere seriamente la salute cardiovascolare, se non ci si sottopone a controlli mirati e non si intraprendono le necessarie azioni correttive.
Di fatto, nella quasi totalità dei casi, l’unico segno evidente della possibile presenza di sindrome metabolica è rappresentato dal sovrappeso/obesità, soprattutto concentrato a livello addominale.
In un’ottica di prevenzione primaria, anche in assenza di sintomi, se si hanno più di 40-45 anni e si è in condizioni di sovrappeso od obesità, è consigliabile sottoporsi a una visita medica, con misura della pressione arteriosa, e ad alcuni esami di laboratorio per la valutazione dei parametri metabolici critici.
Diagnosi
La diagnosi di sindrome metabolica si basa sul riscontro simultaneo dei parametri metabolici chiave alterati, secondo criteri e limiti definiti sulla base dei dati epidemiologici di rischio cardiovascolare, via via rivisti e perfezionati nel corso degli anni.
Attualmente, le linee guida internazionali stabiliscono che per emettere una diagnosi di sindrome metabolica devono essere presenti: glicemia a digiuno ≥ 100 mg/dl; pressione arteriosa ≥ 130/85 mmHg; livelli di trigliceridi ≥ 150 mg/dl; colesterolemia Hdl < 40 mg/dl negli uomini e a < 50 mg/dl nelle donne; giro-vita ≥ 94 cm per gli uomini e ≥ 80 cm per le donne.
Nella pratica diagnostica, tuttavia, i medici di diversi Paesi e afferenti a diversi centri clinici possono adottare valori di riferimento leggermente differenti sulla base della propria impostazione ed esperienza clinica, nonché delle caratteristiche medie e dell’etnia della popolazione considerata.
Tra gli stili di vita
Posto che all’origine della sindrome metabolica ci sono soprattutto errori nello stile di vita, i primi interventi da intraprendere per correggere i parametri cardiometabolici alterati e ridurre il rischio cardiovascolare che ne consegue riguardano l’impostazione di un regime nutrizionale bilanciato (Fonte Fondazione Veronesi), commisurato alle esigenze individuali e finalizzato alla perdita di peso (sempre, in qualche misura, indispensabile), e l’aumento dell’attività fisica quotidiana, che potrà essere di tipo strutturato, in palestra o piscina, e/o basata su semplici accorgimenti nella vita quotidiana come salire le scale a piedi, usare meno l’automobile in favore di bicicletta e mezzi di trasporto pubblici, fare passeggiate dopo i pasti, ecc.
Assolutamente auspicabile, inoltre, l’interruzione del fumo.
Quando l’intervento sullo stile di vita si rivela insufficiente, può essere previsto il ricorso a terapie farmacologiche attive su singoli aspetti della sindrome metabolica, ossia farmaci antipertensivi, ipoglicemizzanti orali, ipolipemizzanti ed, eventualmente, ipocolesterolemizzanti se è presente anche un significativo innalzamento del colesterolo totale o Ldl.
Gli specifici farmaci da utilizzare dovranno essere scelti, calibrati e combinati su base personalizzata, in funzione dell’età, delle caratteristiche globali del paziente, della familiarità per patologie cardiovascolari e della presenza di eventuali comorbilità o controindicazioni e dovranno essere assunti regolarmente a lungo termine.